Patologie
+ Ipofisi
L’ipofisi è un ghiandola endocrina contenuta all’interno della sella turcica e localizzata anatomicamente alla base del cervello, sotto l’ipotalamo al quale è connessa tramite un peduncolo, il peduncolo ipofisario.
E’ una ghiandola endocrina molto importante perche produce degli ormoni che regolano la funzione delle altre ghiandole endocrine presenti nel nostro corpo; la ghiandola produce infatti il TSH che regola le funzioni della tiroide, l’ACTH che regola quelle del surrene, l’FSH e LH che regolano la produzione ormonale del testicolo nell’uomo e dell’ovaio nella donna, la prolattina che regola la lattazione, il GH che permette la crescita staturale del bambino e che svolge importanti funzioni anche nell’adulto. La parte posteriore dell’ipofisi si chiama neuroipofisi e regola attraverso la secrezione dell’ADH la capacità del rene di riassorbire i liquidi.
La funzione dell’ipofisi è a sua volta regolata da ormoni e neurotrasmettitori prodotti nell’ipotalamo.
Gli adenomi ipofisari sono la causa più comune di masse che si possono formare all’interno della sella turcica e sono generalmente delle neoplasie benigne.
A seconda della loro grandezza si posso differenziare in microadenomi (inferiori a 1 cm) e macroadenomi (superiori a 1 cm), quest’ultimi possono superare i limiti della sella turcica e determinare dei fenomeni compressivi sul chiasma ottico, determinando disturbi della visione ed in particolare alterazioni del campo visivo come limitazione della visione laterale, o su altri nervi cranici che si trovano vicino all’ipofisi all’interno del seno sfenoidale. Quindi la presenza di una massa intrasellare deve sempre essere sospettata quando insorgono disturbi della visione.
Altri sintomi neurologici che possono attirare l’attenzione del medico e far sospettare la presenza di un macroadenoma dell’ipofisi sono la cefalea, la diplopia (visione doppia) e paralisi dello sguardo.
Alcuni adenomi producono uno degli ormoni dell’ipofisi in eccesso e vengono definiti adenomi secernenti; in base all’ormone prodotto si possono distinguere i Prolattinomi che producono prolattina, gli adenomi secernenti GH che determinano il quadro clinico dell’Acromegalia e i più rari adenomi ACTH secernenti, che determinano la malattia di Cushing, e TSH secernenti.
Gli adenomi che non produco ormoni si chiamano non secernenti e generalmente danno segni della loro presenza per i sintomi compressivi che determinano o perché causano una riduzione della secrezione degli ormoni ipofisari (ipopituitarismo).
E’ bene ricordare, inoltre, che a volte il riscontro di un adenoma ipofisario avviene casualmente effettuando una Risonanza magnetica dell’ipofisi eseguita per altri motivi. In questo caso si definisce la lesione “incidentaloma ipofisario”.
Gli adenomi ipofisari devono sempre essere differenziati da altre masse che possono svilupparsi nella stessa regione del cranio ed in particolare dai craniofaringiomi, dai meningiomi e dai cordomi.
La risonanza magnetica nucleare con mezzo di contrasto è la migliore procedura diagnostica strumentale per la definizione delle masse sellari e quindi degli adenomi ipofisari.
Lo specialista endocrinologo deve sempre visionare le lastre e porre attenzione alla diagnosi differenziale con la semplice iperplasia dell’ipofisi (aumento di volume senza la presenza di masse), distinguendo a volte quelli che vengono descritti come microadenomi da false immagini di natura vascolare o ossea. A volte, inoltre, l’ipofisi può presentare delle lesioni cistiche benigne chiamate cisti della tasca di Rathke.
In presenza di un adenoma ipofisario è sempre necessario eseguire dei dosaggi ormonali per valutare alterazioni sia in eccesso che in difetto della produzione ormonale della ghiandola.
L’ipofisi è un ghiandola endocrina contenuta all’interno della sella turcica e localizzata anatomicamente alla base del cervello, sotto l’ipotalamo al quale è connessa tramite un peduncolo, il peduncolo ipofisario.
E’ una ghiandola endocrina molto importante perche produce degli ormoni che regolano la funzione delle altre ghiandole endocrine presenti nel nostro corpo; la ghiandola produce infatti il TSH che regola le funzioni della tiroide, l’ACTH che regola quelle del surrene, l’FSH e LH che regolano la produzione ormonale del testicolo nell’uomo e dell’ovaio nella donna, la prolattina che regola la lattazione, il GH che permette la crescita staturale del bambino e che svolge importanti funzioni anche nell’adulto. La parte posteriore dell’ipofisi si chiama neuroipofisi e regola attraverso la secrezione dell’ADH la capacità del rene di riassorbire i liquidi.
La funzione dell’ipofisi è a sua volta regolata da ormoni e neurotrasmettitori prodotti nell’ipotalamo.
La prolattina è l’ormone che stimola la produzione di latte dopo il parto, ma è anche prodotta nel sesso maschile. La sua funzione è strettamente correlata a quella di altri due ormoni ipofisari, l’LH e l’FSH, che regolano i livelli di estrogeni nella donna, e quindi la regolarità del ciclo mestruale e l’ovulazione, e di testosterone nell’uomo, e quindi la produzione di liquido seminale, la fertilità e la libido.
Il riscontro di elevati livelli ematici di prolattina si definisce Iperprolattinemia e può essere dovuto a diverse cause.
La causa più frequente di iperprolattinemia è l’assunzione di farmaci, soprattutto antidepressivi e tranquillanti; poiché questo effetto collaterale è molto comune anche per farmaci normalmente prescritti per curare il mal di testa o disturbi dell’apparato digerente è buona norma nel caso di riscontro di elevati livelli di prolattina analizzare con lo specialista tutte le terapie in corso.
Un’altra causa di iperprolattinemia è l’ipotiroidismo. Quando la tiroide non funziona bene, per un meccanismo di controllo estremamente importante nel sistema endocrino (il feed-back), aumenta la secrezione da parte dell’ipotalamo del TRH che stimola la secrezione da parte dell’ipofisi del TSH. Il TRH, però, in parte stimola anche la produzione di prolattina che può quindi aumentare i suoi livelli nel sangue.
Il riscontro di elevati livelli di prolattina può essere dovuto ad un adenoma ipofisario secernente prolattina. Si tratta di un tumore benigno dell’ipofisi (Prolattinoma) molto spesso curabile con la terapia medica.
Il prolattinoma è un adenoma ipofisario secernente prolattina. Si tratta di un tumore benigno dell’ipofisi molto spesso curabile con la terapia medica. E’ il tipo di adenoma più frequente dell’ipofisi e la sua presenza deve essere sospettata dopo aver escluso le altre cause di iperprolattinemia.
I sintomi clinici che possono essere determinati da un prolattinoma dipendono dai livelli di prolattina prodotti, dal sesso del paziente e dalle dimensioni dell’adenoma.
Dimensioni: la maggior parte dei prolattinomi sono dei microadenomi, cioè misurano meno di 10 mm e possono provocare solo cefalea, mal di testa per ragioni ancora poco note. Se le dimensioni del prolattinoma superano i 10 mm si parla di macroadenomi e questi possono provocare sintomi dovuti alla compressione di strutture che sono vicine all’ipofisi come ad esempio disturbi della visione per compressione del chiasma ottico.
Nelle donne i prolattinomi sono quasi sempre di piccole dimensioni e il sintomi clinici che inducono al sospetto della loro presenza sono la mancanza del ciclo mestruale e la secrezione di latte dal seno (galattorrea) spontanea o provocata, dovuti alla iperprolattinemia. La mancanza di cicli ovulatori generalmente determina infertilità. Tutti i sintomi regrediscono con la terapia medica ed è bene precisare che in questa patologia non c’è un aumentato rischio di carcinoma mammario.
Negli uomini i prolattinomi sono spesso di grandi dimensioni e, oltre ai sintomi compressivi determinati dall’adenoma, causano riduzione della libido, cioè dell’interesse sessuale, e impotenza per la riduzione dei livelli di testosterone causata dall’iperprolattinemia. Raramente è presente anche ginecomastia (aumento del volume delle ghiandole mammarie nell’uomo) e galattorrea. Frequentemente sono riscontrabili alterazioni della qualità del liquido seminale ed infertilità. Tutti i sintomi regrediscono con la terapia medica.
La diagnosi di prolattinoma si effettua in due tempi.
Prima bisogna fare la diagnosi di iperprolattinemia attraverso il dosaggio della prolattina nel sangue. E’ bene ricordare che il dosaggio della prolattina deve essere effettuato in laboratori che usano metodiche sensibili, preferibilmente dopo una infusione di soluzione fisiologica per 20 minuti per evitare livelli falsamente elevati per lo stress del prelievo, e se è presente il ciclo mestruale al 3° - 5° giorno del ciclo. Il dosaggio deve essere ripetuto almeno per due volte e devono essere sempre valutati anche gli ormoni per lo studio della funzione tiroidea (TSH, fT3, fT4) per escludere le iperprolattinemie secondarie ad ipotiroidismo.
Per diagnosticare la presenza di un adenoma ipofisario è necessario eseguire una Risonanza Magnetica con mezzo di contrasto della regione ipotalamo-ipofisaria. La semplice radiografia del cranio è inutile; chi non può eseguire la Risonanza Magnetica deve effettuare una Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) con apparecchi di ultima generazione.
La terapia del prolattinoma, indipendentemente dalle sue dimensioni, è medica ed il farmaco attualmente in uso si chiama Cabergolina.
Il medico specialista deve decidere la posologia del farmaco in base a criteri clinici e poi effettuare periodici controlli della sua efficacia e tollerabilità anche attraverso l’esecuzione di esami strumentali. La terapia medica è generalmente di lunga durata.
Generalmente in breve tempo dopo l’assunzione del farmaco i livelli di prolattina rientrano nella normalità e nelle donne riprendono le normali funzioni riproduttive (ovulazione e ciclo mestruale) con ripristino della fertilità. Lo stesso accade anche nell’uomo.
Se una donna diviene gravida assumendo la Cabergolina deve subito avvisare il medico specialista che provvederà alla programmazione della sospensione del farmaco ed alla gestione dell’adenoma durante la gravidanza, che ovviamente è diversa in base alla presenza di un micro o di un macroadenoma.
Anche i sintomi compressivi intracranici determinati dagli adenomi più grandi regrediscono con la terapia medica.
In alcuni casi può essere necessario ricorrere alla terapia chirurgica e cioè all’asportazione dell’adenoma ipofisario per via transfenoidale (con tecnica endoscopica, secondo le preferenze del neurochirurgo) e raramente in casi particolarmente agressivi alla terapia radiante.
L'Acromegalia è una malattia rara determinata dall'eccessiva produzione da parte dell'ipofisi dell'ormone della crescita(GH, Growth Hormone), nel 99% dei casi dovuta ad un adenoma benigno dell'ipofisi. Il GH esercita la maggior parte delle sue azioni non direttamente, ma regolando la produzione a livello del fegato e dei tessuti periferici di una proteina l'IGF-1 (Insulin-like Growth Factor-1).
Le manifestazioni cliniche dell'Acromegalia dovute agli elevati livelli circolanti di GH sono molto insidiose e spesso si giunge alla diagnosi di malattia dopo anni dalla sua insorgenza.
Le espressioni più caratteristiche di malattia sono l'ingrandimento delle mani e dei piedi (il paziente negli anni è costretto a modificare la misura degli anelli e delle scarpe), l'allargamento del naso e delle labbra, l'aumento del volume della lingua, il prognatismo con conseguente malocclusione dentale, tutti segni che determinano una modificazione dell'aspetto del paziente ben evidenziabile dal confronto di fotografie eseguite nel corso degli anni.
Altri sintomi frequentementi presenti nel paziente affetto da Acromegalia sono la sudorazione eccessiva, la cute oleosa, la presenza di multipli fibromi cutanei, la sindrome del tunnel carpale, la stanchezza muscolare, dolori alle articolazioni, abbassamento del tono della voce, difficoltà respiratorie notturne di tipo ostruttivo.
Tra le modificazioni metaboliche più frequenti è da ricordare l'alterazione del metabolismo glucidico con l'insorgenza a volte di franco diabete e l'aumento del livello dei trigliceridi.
Altri organi e apparati risentono dell'aumentata produzione di ormone della crescita, quindi è frequente il riscontro di patologia nodulare della tiroide, aumento di dimensioni del fegato (epatomegalia) e del cuore con conseguente alterazione anche sulla loro funzione.
Come indicato in precedenza, l'Acromegalia è causata dalla presenza di un adenoma ipofisario secernente GH che nella maggior parte dei casi è un macroadenoma (supera il centrimetro di diametro), quindi alle manifestazioni cliniche già descritte bisogna aggiungere quelle dovute alla presenza dell'adenoma stesso, quali ad esempio cefalea e disturbi visivi, e quelle dovute alla eventuale compromissione della secrezione di altri ormoni dell'ipofisi(vedi adenomi dell'ipofisi).
Nel paziente afetto da Acromegalia esiste un lieve aumento del rischio di neoplasie soprattutto a carico del colon; lo specialista endocrinologo programmerà gli esami di screening e di controllo come previsto nelle recenti linee guida internazionali.
La diagnosi clinica di Acromegalia si basa sulla determinazione nel sangue dei livelli di ormone della crescita (GH) e di IGF-1 che in questa malattia sono aumentati. A volte è necessario eseguire dei test di soppressione del GH e cioè dosare l'ormone ogni 30 minuti per 2 ore dopo che il paziente ha bevuto una soluzione contenente 75 grammi di glucosio.
La descrizione morfologica dell'adenoma ipofisario si ottiene con l'esecuzione della risonanza megnetica dell'encefalo per regione ipotalamo-ipofisaria che permette anche lo studio dei rapporti dell'adenoma con il chiasma ottico ed il seno cavernoso, fornendo quindi preziose indicazioni anche sulla scelta della terapia.
La scelta terapeutica più opportuna per il paziente affetto da Acromegalia deve essere fatta dallo specialista endocrinologo sulla base delle caratteristiche cliniche del caso ed ha come fine la rimozione dell'adenoma, o almeno la risoluzione dei fenomeni compressivi determinati dallo stesso, e il miglioramento dei sintomi e segni della malattia . Le modalità di terapia oggi disponibili sono 3, farmacologica, chirurgica e radiante, tenendo presente che in alcuni casi è necessario, per un corretto controllo della malattia, eseguire tipologie multiple di intervento.
La terapia medica può oggi avvalersi di farmaci con differente meccanismo d'azione e quindi permette allo specialista di avere più possibilità di arrivare alla cura della malattia.
L'Octreotide, un anologo della somatostatina, è in grado di controllare la sintesi del GH da parte dell'adenoma ipofisario ed in alcuni casi riesce anche a ridurre le dimensioni del tumore. Esistono oggi delle formulazioni a lento rilascio che vengono somministrate per iniezione intramuscolare una volta ogni 28 giorni a differenza di qualche anno fa quando il farmaco richiedeva tre somministrazioni quotidiane per via sottocutanea.
E' ormai in fase di conclusione la sperimentazione sull'uomo del SOM230, un nuovo analogo della somatostatina con una maggiore capacità di bloccoo della secrezione del GH.
La Cabergolina è un dopamino-agonista che viene assunto per via orale, ma che è efficace solo nel 20% dei casi di Acromegalia.
Sono in fase di sperimentazione farmaci con contemporanea azione sui recettori della somatostatina e della dopamina.
Il Pegvisomant è il farmaco di più recente produzione per la cura dell'Acromegalia ed ha un meccanismo d'azione diverso dai farmaci citati in precedenza. Il Pegvisomant, infatti, è un antagonista recettoriale dell'ormone della crescita, cioè è un farmaco che blocca l'azione del GH a livello periferico, non blocca la sua produzione a livello dell'adenoma ipofisario. Si somministra per via sottocutanea una volta al giorno.
Il paziente affetto da Acromegalia, a prescindere dal tipo di terapia che è stata scelta per ottenere il controllo della malattia, deve essere periodicamente monitorato dallo specialista. E' necessario controllare periodicamente che la malattia sia curata, valutare le modificazioni delle dimensioni e delle caratteristiche dell'adenoma ipofisario, monitorare il normale funzionamento dell'ipofisi, verificare lo stato funzionale degli organi e degli apparati interessati dalla malattia.
+ Paratiroidi
Le paratiroidi (ghiandole paratiroidee) sono 4 ghiandole endocrine localizzate nel collo dietro la tiroide. Producono l'ormone Paratormone (PTH) che ha il ruolo di mantenere i livelli di calcio e fosforo nel sangue nei limiti di normalità.
Il paratormone svolge la propria azione aumentando il riassorbimento del calcio a nel tubulo renale, a carico dell'osso e indirettamente a livello intestinale, azione quest'ultima mediata dalla vitamina D.
Nell'Iperparatiroidismo Primitivo una o più paratiroidi producono Paratormone in eccesso con conseguente aumento del calcio nel sangue (ipercalcemia). La causa più frequente di questa aumentata secrezione è l'adenoma benigno di una paratiroide (75-85% dei casi).
L'Iperparatiroidismo Primitivo è nella maggior parte dei casi clinicamente asintomatico e spesso si giunge alla diagnosi a seguito di ripetuti riscontri occasionali di ipercalcemia.
Se presenti, i sintomi e segni clinici della malattia sono dovuti alla ipercalcemia cronica; il segno più frequente è la presenza nel soggetto ammalato di nefro-litiasi, cioè di calcolosi renale. In casi più rari il paziente presenta osteoporosi, stanchezza muscolare, astenia, disturbi gastrici e sintomi psichici (depressione).
La diagnosi di Iperparatiroidismo Primitivo si basa sul dosaggio ematico del Paratormone intatto, eseguito in laboratori in grado di misurare con precisione l'ormone intero e non i suoi frammenti (PTH 1-84).
E' molto importante che il prelievo per effettuare il dosaggio del PTH venga eseguito in maniera corretta, altrimenti facilmente si avranno risultati falsamente elevati.
Il prelievo deve essere eseguito usando una provetta pre-refrigerata da porre subito in bagno di ghiaccio dopo il prelievo e da avviare rapidamente in laboratorio per l'esecuzione del dosaggio.
Le tecniche di imaging per lo studio delle paratiroidi sono l'ecografia con color doppler, la scintigrafia a doppia fase con Tc-sestamibi e la risonanza magnetica nucleare, inpiegata soprattuto per la valutazione pre-operatoria del paziente.
La terapia dell'iperaparatiroidismo primitivo, infatti, è chirurgica e l'indicazione all'intervento deriva, secondo le recenti linee guida, dalla valutazione da parte dello specialista endocrinologo di diversi parametri quali la calciuria, la calcemia, la densitometria ossea, la funzione renale, l'età del paziente.
Diverse sono le tecniche chirurgiche impegate, tra le quali quella miniinvasiva, generalmente supportate del dosaggio intraoperatorio del Paratormone; tutte richiedono grande esperienza del chirurgo.
La terapia medica, riservata ai casi in cui il rischio chirurgico è elevato, si basa sull'impiego di farmaci che riducono l'assorbimento osseo (Bifosfonati). I calciomimetici (Cinacalcet) che agiscono sui recettori del calcio presenti sulla paratiroide bloccando la secrezione di PTH, al momento sono indicati solo nell'iperparatiroidismo secondario ad insufficienza renale cronica ma sono stati studiati anche nell'iperparatiroidismo primitivo e forse presto avranno questa ulteriore indicazione.
+ Riproduzione Femminile
+ Riproduzione Maschile
+ Surrene
Il feocromocitoma è un tumore del surrene che determina un’aumentata produzione di catecolamine (adrenalina e noradrenalina).
Questa malattia può essere una delle manifestazioni di quattro sindromi a carattere familiare (Neoplasia endocrina multipla tipo 2° e 2B, sindrome feocromocitoma/paraganglioma, malattia di von Hippel-Lindau).
La manifestazione clinica tipica del feocromocitroma è l’ipertensione arteriosa che può essere stabile o manifestarsi in modo episodico; classicamente questo tipo di ipertensione viene definita come resistente ai comuni farmaci anti-ipertensivi e si accompagna a manifestazioni cardiovascolari come tachicardia, cefalea, sudorazione fredda, pallore.
Bisogna tener presente, però, che le manifestazioni cliniche possono essere molto varie e spesso in grado di ingannare il medico più esperto.
La diagnosi di feocromocitoma si basa sulla dimostrazione dell’aumentata produzione di catecolamine da parte del surrene.
Ciò può essere ottenuto con il dosaggio nel sangue e nelle urine delle catecolamine e dei loro metaboliti (acido vanilmandelico, metanefrine). Oggi il dosaggio plasmatico delle nor-metanefrine sembra essere il parametro con la maggiore sensibilità e specificità per la diagnosi biochimica di feocromocitoma. Test?
Stabilita la diagnosi bio-umorale di feocromocitoma, bisogna localizzare il tumore. A tal proposito è bene precisare che il tumore oltre che nella sede tipica a livello del surrene (90 % dei casi) può localizzarsi nei paragangli, in sede intraddominale vicino al rene (feocromocitoma extra surrenalico).
Le indagini strumentali utili per lo studio morfologico del feocromocitoma sino la TAC, la RMN e la scintigrafia che spesso devo essere utilizzate in combinazione per ottenere una diagnosi accurata.
La Scintigrafia con [123I]-metaiodobenzilguanidina (MIBG) o con [131I]-MIBG. Altre indagini strumentali oggi utilizzate per la valutazione del feocromocitoma sono la PET con [18F]-F-fluorodopamina (F-DA) e[18F]-F-diidrossifenilalanina (DOPA) e l’octreoscan, utile per individuare la presenza di recettori per la somatostatina.
Per poter effettuare correttamente la diagnosi di feocromocitoma (di laboratorio e strumentale) è necessario che il paziente sospenda l’assunzione di farmaci antipertensivi, caffeina, nicotina, antidepressivi triciclici, paracetamolo, che interferisco sul dosaggio delle catecolamine.
La terapia del feocromocitoma è chirurgica. La rimozione del tumore può avvenire con varie tecniche, tra cui anche quella per via laparoscopica transperitoneale anteriore. L’intervento chirurgico deve essere però preceduto dal trattamento farmacologico di alcune settimane finalizzato alla stabilizzazione delle condizioni cardio-vascolari del paziente in modo da abbattere il rischio derivante dall’anestesia e dalle procedure chirurgiche sulla massa tumorale.
L’incidentaloma surrenalico è una massa a carico di uno o più raramente entrambi i surreni scoperta per caso (incidentalmente) facendo accertamenti radiologici (TAC, ecografia, RMN) per cause diverse (ernie discali, patologie addominali, calcolosi renale, traumi, ecc.) in assenza di sintomi che facciano sospettare una patologia surrenalica.
La scoperta di una massa a livello del surrene impone la necessità di fare una diagnosi differenziale tra le varie cause che possono aver determinato la sua formazione.
Tenendo presente che nella stragrande maggioranza dei casi (circa l’80%) si tratterà di un adenoma non secernente (benigno) da tenere successivamente solo sotto controllo strumentale, bisogna comunque escludere che si tratti di una massa che produce ormoni surrenalici o di un carcinoma del surrene o di metastasi di carcinomi presenti in altre sedi dell’organismo o infine di masse di natura diversa tipo lipomi, cisti o raccolte emorragiche. Va sottolineato che anche le dimensioni della massa sono importanti, essendo le masse più grandi (maggiori di 4 cm di diametro) le più sospette.
Per indagare se la massa è di tipo secernente è necessarioc dosare gli ormoni prodotti dal surrene, eseguendo dosaggi di base e dopo stimoli o blocchi farmacologici.
+ Tiroide
La tiroide è una ghiandola endocrina localizzata nel collo. Produce due ormoni la tiroxina (T4) e la triiodiotironina (T3) che regolano il metabolismo dell’organismo e cioè come il corpo umano deve usare la propria energia.
Il corretto funzionamento della tiroide è controllato da un’altra ghiandola endocrina, l’ipofisi, che produce l’ormone tireostimolante TSH.
Ipertiroidismo significa aumentata funzione della tiroide, che quindi produce una quantità eccessiva di ormoni. E’ una disfunzione più frequente nel sesso femminile e nella fascia di età compresa tra i 20 e 40 anni.
L’eccesso di ormoni tiroidei nel sangue determina una situazione di accelerato metabolismo (catabolismo) che si traduce in una sensazione di grande sconforto per il paziente soprattutto perché gli apparati più coinvolti sono quello muscolare e cardio-circolatorio.
I sintomi più frequenti dell’ipertiroidismo sono:
• Sudorazione eccessiva
• Palpitazioni
• Tremori
• Stanchezza muscolare
• Perdita di peso
• Irritabilità e ansietà
• Diarrea
• Sensazione di calore
• Prurito
• Disturbi oculari
• Alterazioni del ciclo mestruale
Le cause più frequenti di ipertiroidismo sono:
• La malattia di Basedow (detta anche di Graves o gozzo tossico diffuso)
• I noduli iperfunzionanti della tiroide (nodulo singolo o adenoma di Plummer e noduli multipli nell’ambito di un gozzo plurinodulare tossico)
• La tiroidite subacuta
• La tiroidite post-partum
• La tiroidite linfocitica
La diagnosi di ipertiroidismo è spesso evidente già dall’esame fisico del paziente; la conferma avviene attraverso il dosaggio degli ormoni tiroidei (fT3 e fT4) e del TSH. Per il meccanismo di regolazione esistente tra ipofisi e tiroide il segno più sensibile della condizione di ipertiroidismo è rappresentato da valori di TSH molto bassi.
La tiroide è una ghiandola endocrina localizzata nel collo. Produce due ormoni la tiroxina (T4) e la triiodiotironina (T3) che regolano il metabolismo dell’organismo e cioè come il corpo umano deve usare la propria energia.
Il corretto funzionamento della tiroide è controllato da un’altra ghiandola endocrina, l’ipofisi, che produce l’ormone tireostimolante TSH.
Ipotiroidismo significa che la tiroide funziona meno del normale, cioè produce una quantità insufficiente di ormoni per soddisfare le necessità dell’organismo. E’ il disturbo funzionale più frequente della tiroide, si riscontra prevalentemente nel sesso femminile e la sua frequenza aumenta con l’avanzare dell’età.
I sintomi più frequenti dell’ipotiroidismo sono:
• Intolleranza al freddo
• Difficoltà a perdere peso
• Astenia, stanchezza
• Stitichezza
• Cute secca
• Irregolarità mestruali
• Difficoltà alla concentrazione
• Cefalea
• Tumefazione del collo (gozzo)
• Difficoltà alla deglutizione (disfagia)
Questi sintomi non sono specifici dell’ipotiroidismo e possono essere presenti in forma sfumata soprattutto nei casi di ipotiroidismo lieve (detto sub-clinico).
A parte le forme congenite di ipotiroidismo presenti sin dalla nascita, la causa più frequente di ipotiroidismo nell’adulto è la Tiroidite cronica autoimmune o Tiroidite di Hashimoto. Ovviamente l’ipotiroidismo è anche la condizione presente dopo l’asportazione chirurgica della tiroide e dopo la terapia radiometablica con 131I. Si definisce ipotiroidismo secondario quello dovuto a mancata produzione di TSH da parte dell’ipofisi (secondario quindi a malattie dell’ipofisi).
La diagnosi di ipotiroidismo si effettua dosando il livello ematico di ormoni tiroidei (fT3 e fT4) e del TSH. Per il meccanismo di regolazione esistente tra ipofisi e tiroide il segno più sensibile della condizione di ipotiroidismo è rappresentato dall’aumento dei valori di TSH.
La terapia dell’ipotiroidismo è medica e consiste nell’assunzione orale dell’ormone tiroideo l-tiroxina. E’ quindi una terapia sostitutiva che deve essere assunta per tutta la vita. La corretta posologia viene stabilita dallo specialista sulla base degli esami ormonali (che devono essere periodicamente eseguiti) e delle caratteristiche cliniche del paziente.
L’assunzione del farmaco (Eutirox® Tirosint®) deve avvenire al mattino a digiuno. Il paziente deve aspettare poi mezz’ora prima di fare colazione, anche se questa consiste solo in un caffè. Molti farmaci alterano l’assorbimento della l-tiroxina e quindi non devono essere assunti contemporaneamente all’Eutirox® o al Tirosint® (ad esempio i protettori gastrici, il calcio, il ferro).
E’ consigliabile quindi consultarsi con lo specialista quando sono in corso terapie che prevedono l’assunzione di più farmaci in modo da stabilirne la corretta assunzione.
Il riscontro di un nodulo all’interno della tiroide è molto frequente, soprattutto nel sesso femminile e con l’avanzare dell’età. La diffusione dell’ecografia come mezzo diagnostico strumentale e la frequente esecuzione di esami per lo studio delle carotidi (eco-color doppler carotideo) aumentano oggi il riscontro occasionale di patologia nodulare della tiroide.
La grande maggioranza dei noduli tiroidei non sono delle neoplasie maligne e non determinano alterazioni funzionali della funzione tiroidea.
E’ compito del medico specialista valutare le caratteristiche del nodulo o dei noduli tiroidei acquisendo notizie sulla storia clinica ed eseguendo esami clinici, ematologici e strumentali.
Clinicamente un nodulo può essere asintomatico o provocare compressione di strutture del collo determinando senso di costrizione, difficoltà nella deglutizione (disfagia) o nella respirazione, abbassamento di voce.
Nella storia clinica del paziente, oltre alla presenza di familiarità per patologie della tiroide, è molto importante valutare l’eventuale esposizione a radiazioni nella zona del collo, soprattutto in età infantile, che è l’unico fattore di rischio specifico per lo sviluppo di noduli tiroidei maligni.
Gli esami ematochimici che devono essere effettuati dal paziente affetto da patologia nodulare della tiroide sono quelli per valutare la funzione della ghiandola (TSH, fT3 ed fT4), gli anticorpi anti-tiroide (AbTg e AbTPO) e la Calcitonina, che è il marker di un raro tipo di carcinoma della tiroide (carcinoma midollare).
L’esame più importante nello studio della patologia nodulare della tiroide è l’ecografia, meglio se con color-doppler. Con questo mezzo diagnostico è possibile determinare con precisione le dimensioni dei noduli, la loro vascolarizzazione, la loro struttura interna (solida, liquida, mista), la presenza di micro calcificazioni, le caratteristiche dei margini. L’acquisizione di questi dati permette allo specialista di decidere come proseguire nel follow-up della patologia e se sono necessarie indagini di secondo livello quali ad esempio l’esecuzione di esame citologico del nodulo tramite ago-aspirato eco guidato.
La scintigrafia tiroidea è oggi un esame poco utilizzato poiché fornisce indicazioni utili da un punto di vista clinico solo nel sospetto che il nodulo sia iperfunzionante e cioè che produca autonomamente ormoni tiroidei determinando ipertiroidismo (adenoma di Plummer).
I noduli della tiroide sono diversi l’uno dall’altro e noduli con le stesse caratteristiche posso avere indicazioni terapeutiche diverse a seconda dell’età del paziente e delle sue caratteristiche cliniche. Il paziente non deve quindi sorprendersi se sente o parla con altre persone con patologia nodulare della tiroide che hanno avuto indicazioni ad eseguire indagini diagnostiche o a prendere decisioni terapeutiche diverse dalle sue.
Non esiste una terapia medica che faccia guarire dalla patologia nodulare della tiroide. In casi selezionati si utilizza la l-tiroxina (Eutirox®, Tirosint®) per sopprimere il TSH e quindi cercare attraverso la riduzione del suo stimolo sulla tiroide di non far aumentare le dimensioni del nodulo. In alcuni casi (sospetto di tumore maligno, problemi di carattere compressivo o estetico) bisogna procedere con l’intervento chirurgico di tiroidectomia.
La terapia radio metabolica con 131I è riservata solo ai noduli iperfunzionanti e ai gozzi plurinodulari tossici in caso di controindicazioni all’intervento chirurgico, ad esempio per la presenza di malattie cardiache.
La tiroidite di Hashimoto fa parte della famiglia delle malattie auto-immuni. Queste malattie sono caratterizzate dal fatto che il sistema immunitario, che generalmente protegge il nostro organismo e lo difende dalle malattie, produce degli anticorpi contro nostri organi o tessuti non riconoscendoli più come propri.
Quando questi anticorpi sono diretti contro la tiroide si configura una malattia infiammatoria (tiroidite) autoimmune che durerà per tutta la vita (cronica). Ecco spiegato il significato del nome di questa malattia (tiroidite cronica autoimmune) che può essere anche identificata col nome di tiroidite di Hashimoto dal nome del medico giapponese che per primo la descrisse.
La diagnosi di questa malattia si fa valutando la presenza nel sangue del paziente degli anticorpi anti-tiroide e precisamente degli anticorpi anti-tireoperossidasi che hanno la sigla AbTPO.
Meno specifici, ma comunemente dosati, sono gli anticorpi anti-Tireoglobulina (AbTg). La presenza di questi anticorpi va verificata solo al momento della diagnosi; in seguito, nel corso del follow-up della malattia, tranne in casi particolari, non devono essere più dosati e comunque il loro livello nel sangue (detto titolo anticorpale) non indica se la tiroide funziona bene o male o se la tiroidite è grave o meno.
In presenza di familiarità positiva per malattie della tiroide o nelle donne che hanno intenzione di restare in cinta è consigliabile effettuare lo screening, con il dosaggio ormonale, della tiroidite cronica autoimmune.
I pazienti affetti da tiroidite cronica autoimmune possono avere delle alterazioni nella produzione ormonale della tiroide, la cui funzione deve essere studiata attraverso il dosaggio di TSH, fT3 e fT4. Molti pazienti anche se hanno la tiroidite di Hashimoto, conservano una normale funzione della tiroide (eutiroidismo), altri invece sviluppano una ridotta funzione della ghiandola (ipotiroidismo).
I pazienti con ipotiroidismo, a seconda della gravità della disfunzione, possono presentare uno più sintomi legati alla carenza di ormoni tiroidei (vedi segni e sintomi di ipotiroidismo). In rari casi durante il corso della malattia si possono verificare episodi di aumentata funzione della tiroide (ipertiroidismo).
Il paziente affetto da tiroidite di Hashimoto può curarasi e guarire dalla malattia?
Questa malattia per definizione è una malattia cronica, quindi sarà presente per tutta la vita. La terapia consiste nell’assunzione di ormone tiroideo (l-tiroxina Eutirox® Tirosint®) solo da parte dei pazienti affetti da ipotiroidismo.
E’ quindi una terapia sostitutiva che deve essere assunta per tutta la vita e monitorata nel tempo per garantire il ripristino di normali livelli di ormoni tiroidei nel sangue.
Per lo studio morfologico della tiroide è necessario eseguire l’eco-color doppler della ghiandola (vedi in eco-color doppler della tiroide). La caratteristica ecografica principale della tiroide affetta da tiroidite cronica autoimmune è la disomogeneità della struttura, che a volte è cosi marcata da dare un aspetto pseudo-nodulare alla ghiandola che deve essere ben differenziato dalla presenza di veri noduli.
Il volume può essere normale, ridotto (variante atrofica) o aumentato. L’ecografia tiroidea in questa patologia deve essere ripetuta nel tempo per individuare la comparsa di noduli.
La tiroide è una ghiandola endocrina localizzata nel collo. Produce due ormoni la tiroxina (T4) e la triiodiotironina (T3) che regolano il metabolismo dell’organismo e cioè come il corpo umano deve usare la propria energia.
Il corretto funzionamento della tiroide è controllato da un’altra ghiandola endocrina, l’ipofisi, che produce l’ormone tireostimolante TSH.
Ipertiroidismo significa aumentata funzione della tiroide, che quindi produce una quantità eccessiva di ormoni.
E’ una disfunzione più frequente nel sesso femminile e nella fascia di età compresa tra i 20 e 40 anni. L’eccesso di ormoni tiroidei nel sangue determina una situazione di accelerato metabolismo (catabolismo) che si traduce in una sensazione di grande sconforto per il paziente soprattutto perché gli apparati più coinvolti sono quello muscolare e cardio-circolatorio.
I sintomi più frequenti dell’ipertiroidismo sono:
• Sudorazione eccessiva
• Palpitazioni
• Tremori
• Stanchezza muscolare
• Perdita di peso
• Irritabilità e ansietà
• Diarrea
• Sensazione di calore
• Prurito
• Disturbi oculari
• Alterazioni del ciclo mestruale
La malattia di Basedow/Graves è una forma di ipertiroidismo su base autoimmune caratterizzata dalla presenza, nel sangue del paziente, di anticorpi che stimolano il recettore del TSH presente sulle cellule della tiroide e quindi la produzione di ormoni tiroidei.
Questa stimolazione, inoltre, generalmente determina un aumento diffuso del volume della tiroide (gozzo diffuso)
I pazienti affetti da ipertiroidismo da malattia di Basedow/Graves possono, circa nel 50% dei casi, avere anche una oftalmopatia, cioè una patologia a carico degli occhi caratterizzata da edema e infiammazione dei muscoli extraoculari e da un aumento del tessuto connettivo e adiposo dell’orbita.
I segni clinici più frequenti di oftalmopatia sono la retrazione della palpebra superiore e l’edema, il gonfiore periorbitale.
L’esoftalmo, cioè la protusione del globo oculare, è presente circa nel 30% dei pazienti, mentre la diplopia, cioè lo sdoppiamento delle immagini alla visione, è un’evenienza meno frequente.
Lo specialista deve valutare il grado di attività e di gravità dell’oftalmopatia nel paziente affetto da malattia di Basedow/Graves.
A tal fine esiste una standardizzazione a livello internazionale (EUGOGO) nel determinare il grado di attivtà (Clinical Activity Score) della malattia. Per determinare invece il grado di esoftalmo si utilizza ambulatorialmente l’esoftalmometro di Hertel. Spesso è necessario anche eseguire la risonanza magnetica delle orbite per meglio definire l'interessamento dei muscoli estrinseci dell'occhio e del tessuto retro-rbitario.
Il fumo di sigaretta è fortemente associato con lo sviluppo di oftalmopatia e con la sua gravità, quindi il paziente con malattia di basodw/Graves deve assolutamente smettere di fumare e tutelarsi dal fumo passivo.
I pazienti con oftalmopatia possono avere anche delle alterazioni della cute, soprattutto a livello della parte anteriore della gamba (dermopatia).
Come in altri casi di patologie autoimmuni multiple, la malattia di Basediw/Graves può associarsi ad alopecia areata, vitiligine, malattia celiaca, miastenia gravis; queste patologie a volte hanno carattere familiare.
La diagnosi di ipertiroidismo è spesso evidente già dall’esame fisico del paziente; la conferma avviene attraverso il dosaggio degli ormoni tiroidei (fT3 e fT4) e del TSH.
Per il meccanismo di regolazione esistente tra ipofisi e tiroide il segno più sensibile della condizione di ipertiroidismo è rappresentato da valori di TSH molto bassi.
Si esegue inoltre il dosaggio degli anticorpi anti-tiroide e in particolare degli anticorpi anti-recettore del TSH.
L’esame eco-color doppler della tiroide è necessario per valutare il volume tiroideo, la presenza di eventuali noduli e la vascolarizzazione della ghiandola.
Nella maggior parte dei casi non è necessario eseguire la scintigrafia tiroidea, esame che viene riservato solo per quelle circostanze in cui è necessario fare una diagnosi differenziale tra l'ipertiroidismo dovuto a malattia di Basedow/Graves e quello transitorio secondario a tiroidite.
La terapia della malattia di Basedow/Graves consiste nella cura dell'ipertiroidismo in modo da ristabilire una condizione di normale funzione della tiroide con conseguente miglioramento della sintomatologia clinica del paziente.
Generalmente al momento della diagnosi di malattia il paziente deve osservare un periodo di riposo fisico di qualche settimana, iniziando contemporaneamente la terapia medica. Il farmaco in grado di bloccare la sintesi degli ormoni tiroidei è il Carbimazolo (Tapazole) che lo specialista prescriverà nella posologia opportuna in base alle caratteristiche e alla gravità del caso.
Purtroppo la terapia con tireostatici determina una remissione duratura dell'ipertiroidismo solo nel 30% dei casi; spesso,quindi, dopo la terapia farmacologica in caso di recidiva di malattia o in assenza di remissione della stessa si pone l'indicazione alla terapia radiometabolica con iodio radioattivo (131I) o all'asportazione chirurgica della tiroide. Sono le caratteristiche morfologiche della tiroide (presenza di noduli, dimensioni), le condizioni cliniche del paziente (età, concomitanza di altre patologie ad esempio di tipo cardiovascolare), la presenza o meno di oftalmopatia, il desiderio di avere gravidanze a quidare la scelta terapeutica dello specialista, in accordo con le preferenze del paziente.
La gestione dell'ipertiroidismo da malattia di Basedow/Graves in corso di gravidanza si basa sul corretto utilizzo dei farmaci tireostatici in questa particolare condizione, tenendo conto del passaggio trans-placentare dei farmaci e degli anticorpi anti-recettore del TSH, e sull'attento monitoraggio materno e fetale. Una paziente affetta da malattia di Basedow/Graves che desideri avere una gravidanza o che resta incinta deve rivolgersi allo specialista endocrinologo per una gestione multidisciplinare (ginecologica, neonatologica) della malattia.
La patologia nodulare della tiroide è una condizione clinica molto comune soprattutto nel sesso femminile e con l’avanzare dell’età. Solo una piccola percentuale dei noduli tiroidei, circa il 5%, sono dei tumori maligni e di questi quasi tutti sono dei carcinomi differenziati, cioè che derivano dalle cellule dei follicoli tiroidei (carcinoma papillare e carcinoma follicolare), molto più rari sono il carcinoma midollare e quello anaplastico.
E’ opportuno subito precisare che i carcinomi differenziati della tiroide se trattati adeguatamente e sottoposti a follow-up specialistico dall’endocrinologo hanno una prognosi molto buona, cioè la sopravvivenza nelle forme a basso rischio è sovrapponibile a quella di una persona che non ha avuto la malattia.
Tutte le neoplasie differenziate della tiroide devono essere rimosse chirurgicamente; l’intervento chirurgico da effettuare è la tiroidectomia totale (o in alcuni casi “quasi totale” a discrezione del chirurgo) e l’operatore deve essere esperto in questa tipologia di intervento.
Una volta escisso il tumore è importante analizzare il referto istologico che deve fornire allo specialista endocrinologo una serie di elementi (istotipo, grado di differenziazione, variante istologica, dimensioni, uni o multifocalità, invasività capsulare o vascolare, presenza di metastasi linfonodali) importanti per la classificazione TNM (Tumor, Node, Metastasis) e la stadiazione della neoplasia. Lo specialista potrà così impostare il trattamento post-chirurgico ed il follow-up più idoneo, attenendosi alle linee guida internazionali.
Nella maggior parte dei casi, ad eccezione delle forme a basso rischio, la terapia chirurgica viene completata con la terapia radio-metabolica. La radioablazione con iodio 131 costituisce una tappa fondamentale per il completamento dell’intervento chirurgico ed ha lo scopo di distruggere i possibili focolai neoplastici anche microscopici rimasti dopo l’intervento chirurgico.
Siccome vengono in tal modo eliminate anche tutte le eventuali cellule tiroidee normali rimaste, è così possibile dopo la terapia radio-metabolica eseguire il follow-up della malattia attraverso il dosaggio della Tireoglobulina, che diviene un indicatore molto sensibile di recidiva di malattia.
La Tireoglobulina, infatti, è prodotta nel nostro organismo fisiologicamente solo dalle cellule tiroidee e patologicamente dalle cellule dei tumori differenziati della tiroide. Dopo la terapia radio-metabolica i livelli di Tireoglobulina nel sangue del paziente devono essere sempre indosabili, altrimenti è segno di recidiva di malattia. Il dosaggio della Tireoglobulina si esegue in tempi definiti dallo specialista endocrinologo e può essere effettuato di base, cioè in corso di terapia sostitutiva con l-tiroxina, oppure dopo stimolazione con TSH umano ricombinante (Thyrogen®) secondo tempi e metodi stabiliti dalle linee guida internazionali.
L’altro esame fondamentale per il corretto controllo della malattia nel tempo è l’ecografia ad alta definizione del collo che deve essere eseguita da un operatore esperto e deve descrivere l’assenza di linfoadenopatie patologiche in tutti i livelli del collo che possono essere sede di metastasi.
Il follow-up di un paziente trattato per tumore differenziato della tiroide è diverso a seconda del grado di rischio(alto, medio, basso) di persistenza di malattia o di sua recidiva come stabilito in base alla stadiazione iniziale e può prevedere, oltre all’esecuzione dei dosaggi per la determinazione della Tireoglobulina e dell’ecografia ad alta definizione del collo, anche l’impiego di altre metodiche di imaging quali la scintigrafie total-body con 131I, la TAC o la PET.